Il racconto del reduce

“Arriviamo da paesi lontani, da guerre, da cataclismi. Correndo il treno sulla via del ritorno, pregustiamo le gioie della patria; grande, tra queste, la gioia di raccontare. Per giorni potremmo continuare senza fermarci, ci sarebbe da fare delle conferenze, da scrivere grossi libri. Queste cose abbiamo viste, belle, bizzarre e spaventose. Solamente per poterle dire agli amici valeva la pena di tante fatiche. Il treno vola sulla via del ritorno e ci sembra di essere felici.

Ma che strano. Appena siamo nella nostra casa, la lunga favola ci muore nel petto. Raccontiamo due tre cose, poi basta. Ben presto ci fermiamo con la sensazione di non avere più niente di importante. Dove sono andate le romanzesche avventure, i pericoli, i misteri, gli incontri di cui eravamo orgogliosi? Spariti dunque nel nulla tutti quei giorni, e mesi e anni da noi trascorsi lontano? Niente rimane? Oh, no, dentro a noi ogni alba, ciascun tramonto, ogni notte giacciono uno sull’altro, intatti, con significati profondi. Solo che a dirli, amara sorpresa, risultano spesso generici, estranei, noiosi, e nessuno li sta volentieri ad ascoltare; neppure la mamma.
“Mi ricordo” raccontiamo “una mattina proprio ai limiti della foresta…”
“Ma dimmi” interrompe uno “adesso che sei tornato cosa pensi di fare?”
“Il brutto è stato nel marzo scorso” raccontiamo “quando è venuto l’ordine di…”
“Scusami” dice uno “scusami ma ho già fatto tardi. Ci vediamo domani, vero?…”
“Ha dormito due mesi” raccontiamo “in una specie di caverna, ma bisognava vedere che….”
“E a donne?” interrompe uno “come si stava laggiù a donne?”.
Allora si comincia a capire come tanti ricordi, scavati nella viva sostanza dell’anima, sostegni ormai dellla vita nostra, per gli altri, per tutti gli altri, senza eccezione, non siano che dei vuoti fantasmi, parole, parole. Eppure è gente che ci vuole molto bene, amici autentici, pronti a sacrificarsi per noi. Delle nostre storie però non gliene importa un corno, di questo nostro tesoro non sanno che farsene. E così, di improvviso, si constata quanto siamo soli al mondo.” DINO BUZZATI

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