Perché Sartre? Perché la letteratura, oggi?

[Volevo scrivere un articolo su “Le parole” di Sartre ma sono inciampata in una disamina al vetriolo sulla critica letteraria al giorno d’oggi. Se avete voglia di commentare mi farete felice. Vorrei sapere come la pensate voi, cosa cambiereste, cosa potremmo fare tutti insieme. Soprattutto, è possibile?]

Nel 1964 uscì in Francia presso l’editore Gallimard un breve libercolo che fece molto parlare di sé attirandosi critiche ed elogi, come spesso accade a certe opere del nostro tempo. Opere che non sono semplicemente tali, ma che indagano le pieghe sotterranee dell’uomo destandone sdegno e amore: ossimori, sentimenti di contrasto.

È di questo che avremmo voluto dibattere oggi: de Le parole di Jean Paul Sartre. Spendere qualche riga per un testo che ha segnato tre generazioni di lettori attraverso il racconto di un’infanzia, di un apprendistato letterario ed esistenziale. Che cos’è la lettura? Come si diventa scrittori? Quanto contano le parole nella vita di un essere umano?

Jean Paul Sartre

Jean Paul Sartre

Ma l’autore di un qualsiasi compendio critico – o recensione che dir si voglia – deve poter motivare la propria scelta. Perché interrogarsi ancora su testo a più di cinquant’anni di distanza? Che cosa c’è ancora da dire a proposito di un’opera che altri, più esperti, più illuminati, non abbiano già detto? Quanto conta il Novecento, il nostro secolo, per comprendere l’epoca attuale?

Ma soprattutto perché parlare di Sartre al giorno d’oggi, quando pile di libri sono state scritte dopo di lui? Quando chili di parole sono state spese per contrastare un pensiero – l’Esistenzialismo, il suo Esistenzialismo – accusato di essere sorpassato fin dai primi anni Sessanta? Già all’epoca si facevano avanti gli Strutturalisti, i vari Claude Lévi-Strauss, i Jacques Lacan con la loro psicanalisi filosofica, e, un nome tra i tanti, un tale Michel Foucault che parve rivoluzionare il pensiero e muovere le masse come pochi altri erano riusciti a fare.Perché dunque Sartre, un autore dimenticato dalle cattedre universitarie, non più studiato nei licei, sorpassato persino in Francia dove, stando all’opinione comune, resta semplicemente un uomo del suo tempo, un maestro da dissacrare? «L’abbiamo osannato, ora è necessario distruggerlo».

Non è questa la sede per una difesa del suo pensiero – anacronistico! – griderebbero alcuni – rivoluzionario – sosterrebbero altri. Non è di un avvocato che ha bisogno oggi Sartre, quanto piuttosto di un lettore attento, capace di scorgere nelle righe della sua ampia produzione letteraria, teatrale, filosofica e autobiografica, la cifra della nostra contemporaneità.

Diciamolo fuori dai denti. Oggi la critica letteraria è morta. Non funziona più.

Si può fare qualcosa, noi possiamo fare qualcosa, per riportarla in vita? Noi lettori, noi studenti, noi ricercatori, noi professori? Inutile lamentarsi del fatto che la critica non parli più alla gente, non sia capace di scendere nelle strade, di entrare nelle case. Ha perso il suo carattere militante – se mai ne ha davvero posseduto uno – per appoggiarsi all’unico apparato che oggi è in grado di contenerla: l’Università. È così che si assistono a lunghi convegni monografici dove gli stanchi intervenenti rimasticano parole già dette, pensieri già macinati: ci si ascolta tra simili, ci si asseconda tra addetti ai lavori, ci si diverte dell’indivertibile e si dimenticano gli altri, il prossimo, il cittadino, il curioso. Ha senso, oggi, continuare così? Ha senso leggere sulle pagine di giornali più o meno specialistici minuscoli compendi che ridicano il già detto, che non aggiungano, non suggeriscano, non premano le giuste corde?

Potremo continuare a parlare di letteratura e filosofia, farlo tanto per piacere, perdivertissement, ma se ci intestardiremo nell’utilizzo di una lingua morta e ormai scarnificata, non arriveremo a toccare le giovani generazioni, né a coinvolgere quelle passate. Nessuna critica, nessun consiglio di lettura avrà più senso se, pescando nella produzione passata, non riusciremo a dire perché e in che modo il tal libro, il tal autore può avere un senso oggi. Che funzione ha nella nostra vita di uomini, di cittadini, di amanti, compagni e amici? Che senso ha alla luce della nostra natura frammentaria e complessa, ch’eppure abbisogna di nutrimenti, di squarci capaci di aprire verso il presente?

"Sotto i lastricati la spiaggia" Slogan maggio francese

“Sotto i lastricati la spiaggia” Slogan maggio francese

La critica letteraria d’oggi, invece che interrogarsi sul perché di una tale opera, preferisce raccontare dell’autore, parlare dello sparuto carteggio, accennare qualche passo del nuovo romanzetto, suggerire un vago punto di vista. Non scava, non incide. Critici in erba, più o meno vanitosi, appestano il web dall’alto dei loro giornaletti culturali: scopiazzano qualche nota da Wikipedia, ci infilano qualche bella frasetta e tac! Il gioco è fatto. Chissenefregra di chi ci legge, chisseneimporta del povero lettore.

Poi ci sono gli altri. Gli accademici da pompa magna. I professoroni. L’élitedella cultura. Gli intoccabili. Quelli a cui tutto è concesso. Di solito fanno un copia-incolla del loro già detto, troppo faticoso pensare ancora, meglio ricucire insieme vecchi articoli già fatti, «tanto» – pensano loro – «chi se ne accorgerà?». Ecco poi Les Intellos [trad. gli intellettuali] da nuova generazione che paiono molto più volenterosi dei loro maestri. Fanno selfie dall’alto delle loro scrivanie, mostrano i loro libri sottolineati e postano tazze di caffè bollente accanto alCapitale di Marx twittando: «Buona colazione a tutti!». Talvolta, se meglio ispirati dal lavorio celebrale, appesantiscono il web con chilometrici articoli che nulla aggiungono – semmai tolgono (e in anni di vita!) – bofonchiano qualcheintellettualata incomprensibile e si beano della loro inattingibile ermeticità. La critica che conta si crogiola nella lucidatura delle proprie lenti di ingrandimento e così, finalmente, visualizzando per bene la minuzia, la contestualizza all’epoca in cui è stata prodotta e mette un bel punto alla fine del paragrafo. Non spazia, non volteggia, non problematizza. Insomma: non giunge fino a noi.

È così che ci si dimentica del nostro secolo, del nostro oggi. È chiudendo la letteratura nelle strette vie dei corridoi scolastici, è relegandola in muffose biblioteche o insterilendola in pubblicazioni infantili e grottesche che la parola muore, il pensiero si perde, la società si impoverisce.

La letteratura, così così come la poesia, non può e non deve essere lettera morta. Non può e non deve essere neutra: ogni scrittore, insegna Sartre, è responsabile della sua penna, è «in situazione» rispetto alla propria epoca. Ogni parola ha delle conseguenze, così come ogni silenzio. Per questo motivo, per questa sua assenza di neutralità, la letteratura è foriera di un messaggio che come tale va letto, interpretato, se necessario riattualizzato e interrogato senza sosta affinché non resti relegato nel dimenticatoio di qualche giornata di studi, ma si incunei piuttosto nelle pieghe dell’oggi, nel nostro presente.

Perché? Per quale motivo?

"Università pubblica e popolare" Graffito, Parigi.

“Università pubblica e popolare” Graffito, Parigi.

Perché oggi, più che mai, si attraversa un tempo che pare svuotato da ogni senso. Un tempo folle e incomprensibile. Spesso rinunciatario: l’uomo si piega, ha perso il suo spirito contraddittorio e, inebetito, si aggrega al gregge del più forte. I dibattiti non si fanno più. Non più dopo le proiezioni cinematografiche, non più dopo le uscite letterarie. Forse esistono ancora nei talk show televisivi: ma vien difficile definirlo “dibattere”. Pare piuttosto la sfilata dell’attacco personale, la gara all’insulto più mordace, il premio per la voce più grossa.

La nostra epoca è contrassegnata dall’irresponsabilità: cresciamo sotto una politica corrotta e parolaia, che si lava le mani con i problemi della gente. Le colpe non esistono più: i soggetti ne escono triturati, distrutti.

Pure la nozione di soggetto è finita. Punto. Basta. Disintegrata.

La soggettività è morta, è una fantasmagoria di epoche passate, un vagheggiamento. Si nasconde dietro un avatar computerizzato, dentro un selfiemeglio riuscito. È seppellita sotto nickname di cui si perdono le tracce. Persino i contenuti pubblicati dagli stessi non-soggetti si deprezzano, cadono nel dimenticatoio, scadono in fretta. Il tasto «mi piace» svolge per noi la funzione del commento. Un click e il gioco è fatto.

La responsabilità sartriana è passata di moda? Beh, pare lo stesso per quella dei singoli, dei comuni mortali. Si allinea, insieme ad altre parole come vergogna,permesso, per piacere, buongiorno, nel dizionario dei termini in disuso. Nessuno, ad oggi, è più responsabile di niente. Non il politico, non il cittadino ubriaco che investe il passante, non il ladro, non il maldicente, il maleducato, l’approfittatore, il pappone, il raccomandato. I colpevoli sono sempre gli altri.

Quegli stessi altri che Sartre identificherà come inferno, non in quanto colpevoli, crudeli, pronti all’attacco verso il singolo. Gli altri sono inferno perché se il soggetto è incapace di costruire un rapporto di fiducia con il prossimo, allora la sua stessa realtà si farà inferno. L’altro è fondamentale alla conoscenza del sé, alla vita, alla lettura della propria storia, alla costruzione dell’io. Senza l’altro, con un altro mancante o manchevole per via di rapporti usurati e depravati, l’io è catapultato all’inferno, la realtà stessa si fa inferno.

Ritorniamo all’incipit. Perché Sartre oggi? Perché la responsabilità, perché l’autocritica, perché l’autenticità. E pare ce ne sia bisogno. Perché la letteratura oggi? Per comprendere la nostra epoca grazie a parole del passato e del presente, per essere cittadini e individui, non solo avatar, non solo bell’imbusti da copertina. Perché una critica militante? Perché abbiamo bisogno di riappropriarci delle nostre forme, delle nostre produzioni, del nostro patrimonio per comprenderci, per crescere, per ripensare il futuro.

E Le parole di Sartre? Quelle saranno per la prossima volta.

[Da Il Fascino degli intellettuali]

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