Visi di ieri

Il tempo è uno strano individuo. Si può ingannarlo fingendo di non considerarlo, che non esista. Ma è una pura illusione, creata ad hoc per salvarci la pelle, nell’attesa che le cose, invece, accadano davvero. C’è stato un periodo della mia infanzia, prima giovinezza, dove il tempo, la questione dei giorni che passano, era un problema, un problema vero. Vivevo con inesorabile pesantezza l’autunno, angosciata dell’inverno prossimo in cui saremmo presto precipitati. Poi l’inverno arrivava e così le gelate, la pesantezza, le giornate buie, i compiti e i piedi freddi. Ma a febbraio, scovavo nelle mattine di sole, lembi di terra che promettevano prossime rinascite e di questo sorridevo in silenzio: l’agonia sarebbe presto finita. Così ho passato molti anni, cercando nei fattori metereologici la risposta alle mie tristezze o alle mie gioie. Finché un giorno non ci ho più pensato, era iniziata l’università, non c’era tempo per riflettere, si doveva STUDIARE. Ho passato cinque?sei anni? a studiare con gli occhi bassi, interrogandomi poco se facesse bello, se piovesse. La giornata non era più scandita dalla luminosità o dal buio, ma dalle parole, dal numero delle parole da memorizzare, dalle frasi, dai concetti. Non ho più riflettuto davvero se il tempo passava oppure no, il metro di giudizio era cambiato. Poi anche l’università è finita e il tempo è ridiventato un protagonista strano: un miscuglio colloso di ricordi, voglia di futuro e strane impossibilità. Cercavo lavoro e non lo trovavo: mi sembrava di aver dedicato anni interi ad una chimera, ad una sciocchezza che ora non avrebbe trovato di che nutrirmi, di che salvarmi. La letteratura.
Parlo così perché ora che ne sono un po’ distante riprovo lo stesso strano principio: aprire un libro significa sospendere il tempo che esiste al di là della pagina. Chiuderlo è rientrare nella vita, nel chiasso, nella dinamica e sconclusionata ruota dell’imprevisto.
Vi scrivo da una domenica piovosa, piovosa davvero. Questa mattina ci siamo intrufolati al marché de la mode vintage, un’esperienza unica e divertente, che valeva la pena. Non abbiamo comprato nulla, ho capito che il vero vintage, quello bello, costa troppo. Per divertirsi si dovrebbe avere almeno un baget di trecento euro: e poi si può trovare una buona occasione. Il resto sono cianfrusaglie polverose che però sanno di anni settanta e sono colorate. Ah, ho rubato una caramella alla menta da uno stand (ma erano in omaggio) giusto per avere la sensazione che infondo, qualcosa, avevo portato con me. Ho anche una fantastica borsa di plastica con una ruota “vintage”nera e trasparente: era le sac dato in omaggio all’entrata per metterci gli acquisti: io e Newman, due scemi, eravamo gli unici nella lunga carovana di gente che serpeggiava nella rue Crepet, usciti con il sacco vuoto. Ma ci siamo divertiti.
Vi incollo la foto della mia classe (notare che bello il parquet!). Sono già visi di ieri. Il tempo passa, lo vedete? Lo posso ingannare leggendo Annie Ernaux, o bevendo il caffé alla croquerie preferita. Sarebbe bella una certe perpetuità delle cose, ma c’è chi dice che infondo sarebbe un male.
Solo un pensiero, prima del punto. Anche le parole forse sono un inganno. Riempiamo i momenti, per cercare di dargli un significato. Per? Forse per non morire. Per illuderci, per voler vivere davvero, rendendosene conto.

Le langage n’est pas la vérité.
Il est notre manière d’exister dans l’univers.

I.

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Una risposta a Visi di ieri

  1. Valeprevi ha detto:

    mia carissima,
    che bella foto scommetto che è stata una tua idea! Ci potrei giurare! Il vero problema è che il tempo passa troppo in fretta, sembra che qualcuno mandi avanti il giorno a velocità doppia, non si può rallentarlo invece? avrei così tante cose da fare.
    Adoro il vintage ma sì, è vero, servono troppi soldi.
    Ti saluto, un bacio e buona notte
    tua Vale

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