E la rivoluzione?

                                                                                   
 Si parla sempre di futuro rubato e di impossibilità alla speranza. Eppure la cosa più drammatica è quasi un’altra. A forza di sfiducia i giovani, oggi si arrendono (ci arrendiamo?) ancora prima di cominciare. La cosa strana è che con la complicità dei genitori, spesso si permane in una situazione limbica da cui diventa sempre più difficile uscire e che si trasforma con il tempo in una situazione di comodo.
E’ su questo punto che sarebbe forse interessante fare una riflessione: quello che manca, oltre al lavoro, è la creatività, la voglia di cominciare, di ri-cominciare ad inventare. Qui o altrove, poco importa. Ma se la giovinezza da sempre è stata fucina di idee e creatività ( a volte idee folli e azzardate, ma pur sempre idee!) oggi il fenomeno è opposto. I genitori proteggono i figli dai dolori della nuova condizione e i figli, regredendo, si trasformano in infanti incapaci d’agire.
Leggere per credere. Queste sono le storie di tre persone che conosco o personalmente o per interposta persona. (nomi cambiati per privacy, non si sa mai…)
Francesco è tornato dall’Irlanda dove ha lavorato per tre anni come cameriere. Grazie alla dedizione e alla passione è riuscito a metter via un po’ di soldi, ha un progetto grande nella testa. Vuole aprire un ristorante chic, ha fatto corsi da barman e altre cose, ha una scuola alberghiera sulle spalle e venticinque anni nella tasca, è giovane e si sente pronto per una nuova sfida. Rileva un ristorante frequentato perlopiù nella pausa pranzo da camionisti e pendolari, situato sulla strada provinciale della sua cittadina. Un posto rustico e squallido, tavoli di legno, sedie con la paglia intrecciata, quadri marini alle pareti. Non è granché, ma un’imbiancata alle pareti – si dice – tovaglie bianche e una buona gestione possono fare il resto. Ha un amico cuoco, insieme ce la faranno. Francesco è giovane ma nonostante i suoi sforzi e i suoi risparmi, si trova a non avere abbastanza denaro.
Tuttavia sua madre sa che è giusto investire sui sogni, soprattutto su quelli dei figli. Mette un’ipoteca sulla casa (ancora gravata da un mutuo) e chiede alla banca un prestito per permettere a Francesco di “tirar in piedi” il suo ristorante. Novantamila euro. Concessi.
Il ragazzo ora ha tra le mani un po’ di soldi e forse una possibilità per il futuro. 
Ma vola molto in alto. Forse troppo.
“Il mio ristorante non sarà il solito buco per pranzi da lavoro a dieci euro. Voglio un posto per gente ricca e raffinata, proporrò un menù caro ma prelibato, sperimenterò con cucina molecolare, stupirò tutti”. Inutile spiegargli che su una strada provinciale attraversata da auto che sfrecciano a velocità impazzita, tra capannoni industriali e locali notturni ormai dismessi, non otterrà granché. Ma lui è convinto del fatto suo e non ascolta nessuno.
Eppure, dopo il prestito chiesto alla banca, quando tutto sembrerebbe pronto per cominciare, scatta qualcosa. “Francesco, sei andato al ristorante oggi? Mi sembra che ci sia ancora parecchio lavoro da fare prima di aprire. E i corsi per la sanità, hccp e rec li hai fatti?” “No, mamma, sta tranquilla, tanto fra un mese apro, fidati. Al ristorante magari ci vado domani, dai, non ti preoccupare. Oggi piove, voglio stare a casa al calduccio, magari mi guardo un film in dvd. A proposito, stasera esco con gli altri, mi daresti cinquanta euro?”
E la madre, dopo aver frugato nel portafoglio allunga al figlio una banconota e cambia stanza in silenzio.
Sabrina ha ottenuto una brillante laurea al politecnico di Milano. Ha lavorato per cinque anni in una ditta distante da casa, tornando nella sua cittadina natale tutti i fine settimana per stare con la sua famiglia e vedere i suoi amici. Si è divisa per anni tra due città e due mondi, ha fatto la pendolare  con la forza e la tenacia di una giovane donna che si affaccia alla vita.
Poi la ditta ha cominciato ad andare male. Le amiche le dicevano “sei brava, manda i tuoi curricula altrove, ti chiameranno, ti sei formata un’esperienza mica da poco per una della tue età, vedrai, ce la farai.” Ma Sabrina aspettava. “Forse la ditta non chiude, forse i tagli al personale di cui tanto si parla ultimamente non mi riguarderanno, eppoi c’è sempre tempo”.  Fatto sta che la ditta ha chiuso e Sabrina, ottenuta la mobilità, ha fatto le valige ed è tornata a casa. Ma una volta rientrata nella sicurezza famigliare si è “seduta.” E’ a casa da un anno ormai, e la sua mobilità scadrà il prossimo marzo. Non ha mandato nessun curricula in giro, non guarda gli annunci, sta in casa tutto il giorno e dice che c’è tempo. E forse non vuole nemmeno più fare la grafica, magari l’organizzatrice di matrimoni sì, è un bel lavoro. Potrebbe fare un corso ma dice che magari ci penserà da gennaio. Ora non ha tempo. Il suo ragazzo organizza eventi nei locali e la sera e lei deve essere presente “sai com’è, per fare immagine, non è bello lasciarlo andare da solo”.
E così il tempo passa.
Federico si è brillantemente laureato in lettere, poi ha conseguito una laurea specialistica, e a compimento dei suoi studi ha presentato una tesi sui testi politici di Pasolini: lode, dignità di pubblicazioni e “félicitations du jury”, come direbbero i francesi. Ha tentato un dottorato di ricerca presso la sua stessa università, ma il concorso d’ammissione è andato male e non l’hanno preso. Forse ci ha provato senza troppa convinzione, non studiando abbastanza, sapendo che avrebbe fatto in ogni caso un buco nell’acqua e che queste cose “vanno a fortuna”. Ma segretamente ci teneva davvero anche se non l’ha mai ammesso con nessuno di noi. Ha provato a lavorare, ma è un ragazzo dal viso enigmatico, baffi scuri, capelli corvini e pelle diafana. Il suo aspetto è un po’ equivoco, sembra un malinconico senza speranza, o peggio, uno sconfitto ancora prima di cominciare. Il suo viso è ombroso e pensoso, forse inadatto al mondo del marketing, ma lui, là dentro, di certo non ci voleva entrare. Almeno fino al momento in cui ha scoperto che con la sua laurea letteraria non ci avrebbe fatto un granché e che forse valeva la pena esplorare una strada diversa.
Senza successo.
Nessuno ha voluto o potuto assumerlo. Ha pulito per qualche mese i bagni di una palestra, poco distante da casa sua, o meglio, dalla casa dei suoi genitori dove vive attualmente, nonostante i trentadue anni suonati.
Ora, i curricula, Federico non li manda più. Ci ha provato per diversi anni, poi a poco a poco, visto che né risposte né tantomeno proposte arrivavano, ha pensato bene di rinunciarci. “Tanto non cambia niente, ho sbagliato tutto, avrei dovuto fare studi scientifici, badare alla praxis, altro che velleità letterarie, di quelle non me ne faccio niente.”
Federico ha chiuso la sua laurea in un cassetto e ha chiuso se stesso in una stanza da cui non esce più. Passa tutto il tempo in casa, in camera sua. Guarda dei film e sta al buio.
Ha tagliato i ponti con tutti, amici, ex colleghi di università. Non esce e non parla più con nessuno. E’ arrabbiato con il mondo, ma forse ora nemmeno più. Non agisce, ma dice che nella sua stanza si sente al riparo e che per ora va bene così.
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